Oggi e domani.

Bello/Brutto?

Scrivo oggi, 27 dicembre, che è il compleanno di mia madre. Mia madre che è in ospedale, anche lei colpita dal Covid.

A prima vista questo anno sembra ci lasci solo rovine, tristezze, rimpianti del tempo vissuto poco. Si può ancora parlare di moda, di vestiti? Io ne ho fatti pochi e, come tutti, ne ho indossati pochi del mio guardaroba. Ho provato a fare come se fosse tutto normale, ma alla fine la pigrizia e la fatalità hanno preso il sopravvento.

Ciononostante ho coltivato piccole aiuole di resistenza: il rossetto sempre, anche sotto la mascherina e poi le lezioni con i miei allievi (quando si poteva). Per loro ho scelto sempre di essere curata e ben vestita. Ognuno deve trovare un po’ di aria buona da qualche parte per ricordarsi di respirare.

Mi chiedo a volte come cambierà (se cambierà) il settore della moda. Francamente non ho assistito a grandi proposte. All’inizio qualcuno ha provato a fare proclami, qualche mea culpa, aggiustamenti, soprattutto arrangiamenti, necessari magari per cercare di salvare il salvabile. Mi aspettavo di più.

Mi aspettavo voli di fantasia, azzardi, piccole rivoluzioni. Mi sono detta: -Stai alla finestra, magari questo dannato virus qualcosa di buono alla fine ce lo porterà-. Invece sono rimasta lì ad aspettare e ad annoiarmi. Forse la stanchezza ha preso il sopravvento.

Però non sono sicura, la mia innata propensione per il dubbio mi fa sperare di essermi persa qualcosa o che qualcosa di importante sia rimasto nascosto, poco pubblicizzato. Questi tempi superficiali fanno galleggiare solo le capsule vuote…

Proverò ad informarmi meglio, a guardarmi intorno con occhi più attenti. Da qualche parte deve pur esserci una risposta valida, un modo di lavorare che significhi qualcosa e non solo portare i soldi a casa.

Intanto mi consolo con le parole di un uomo illuminato, Brunello Cucinelli, che parla di equilibrio tra dono e profitto. Lui, ottimisticamente parla di un anno “di passaggio” e chiede ai giovani di sostituire la paura con la speranza, di riequilibrare tecnologia e umanesimo, di credere nell’arte di riparare, riutilizzare, restaurare. Perchè abbellirà la nostra anima e creerà lavoro.

Teniamoci stretti gli illuminati, oggi e anche domani.

La moda, il futuro.

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Ringrazio la direttrice di D la Repubblica, Valeria Palermi, per aver dato visibilità ai miei pensieri e in questo modo aver ritenuto che siano significativi. Di seguito il testo completo della mia lettera che riassume quello che è per me il senso della moda:

“Gentile signora Palermi,

accolgo con gratitudine la “chiamata alle armi” apparsa nel suo editoriale del 19 Ottobre. Sono una sarta. Era il 1988 quando ho cominciato e allora non ero molto interessata alla sartoria, quanto piuttosto, come la maggior parte dei ragazzi che si appassionano alla moda, mi attirava l’idea di “disegnare”. Pensavo che la parte più creativa fosse la progettazione, tutto il resto era solo tecnica.

Mi sbagliavo e l’ho scoperto con l’esperienza e con il tempo. Oggi non disegno quasi più, è diventato superfluo. Mi appassiona il processo, il gesto, le mani all’opera; ho scoperto che la bidimensionalità di un foglio è limitativa, devo immaginare le fasi della costruzione e poi metterle in pratica direttamente per poter ottenere qualcosa che si avvicini all’idea.

La sartoria è diventata la mia passione e il mio mestiere e non c’è niente di più moderno oggi. Niente di più prezioso, se si parla di moda.

Ho la possibilità di creare pezzi unici, di stabilire un rapporto esclusivo con il cliente, di studiare ogni volta soluzioni inedite, di lavorare in modo mirato e innovativo. Insomma posso fare la differenza.

Nelle mani c’è un secondo cervello, che a volte arriva prima, prima addirittura di averlo pensato ed è stupefacente se solo impariamo ad allenarlo.

Eppure questa parola “sarto” ancora oggi sembra poca cosa agli occhi dei più. Siamo riusciti a far diventare delle star i cuochi, si riuscirà mai a rendere giustizia ai sarti?

Continuamente si plaude al bagaglio di cultura artigianale di questo Paese, ma in concreto sappiamo che il ricambio generazionale si porterà via una buona parte di quel sapere.

Mi sono chiesta, cosa posso fare io? Ognuno dovrebbe chiederselo, anche piccoli gesti hanno un valore.  Da dove cominciare? Ho pensato che fosse giusto cominciare proprio dall’inizio. Dai bambini.

Nel 2006 ho cominciato a proporre corsi di moda per bambini nell’Atelier ArtEnfant che funziona nel mio laboratorio e in un paio di scuole pubbliche della città di Torino.

Nei miei laboratori i bambini disegnano e progettano, ma soprattutto tagliano e cuciono. Imparano il fare, che è quello di cui abbiamo bisogno per accumulare esperienza. Sviluppano la motricità fine che ultimamente è un disastro e poi discutono di sostenibilità, riciclo, moda inclusiva, bellezza, futuro…

Come si salvaguarda una ricchezza come quella del nostro artigianato? Creando una base, veicolando cultura, spargendo dei semi.

La moda del futuro non potrà fare a meno di questo tesoro. Noi siamo i testimoni e se c’è un senso in quello che facciamo, questo sta nel trasmetterlo ad altri.

Durante il lockdown ho dovuto a malincuore sospendere i corsi in presenza, ma ho mantenuto un contatto virtuale con i miei giovanissimi talenti.

Non mi arrendo, anche se so che non sarà semplice tornare alla normalità, proverò a riannodare i fili.”

Adriana Delfino

Sewing leafs.

Mi hanno chiesto perchè cucio le foglie.

All’inizio non me lo sono chiesta nemmeno io. Semplicemente le raccoglievo e le osservavo. Mi piaceva seguire con il dito le venature, soprattutto quelle più lievi; a volte si vedevano appena.

Ho pensato che fosse bello metterle in evidenza perchè mi ricordavano un ricamo e si sa, le cose belle non vanno nascoste, almeno non ai propri occhi.

In realtà poi ho capito che quelle venature mi ricordavano il sistema circolatorio di tutti gli esseri viventi e ho cominciato a usare il filo rosso. Rosso come il sangue.

Quando sono passata al filo d’oro pensavo che c’entrasse la questione della sezione aurea (un pò c’entra), ma non è abbastanza. L’oro è un atto di omaggio, è la sacralità che si deve alla vita.

Non stacco le foglie dall’albero, io le raccolgo quando ormai sono alla fine del loro ciclo vitale. Pronte per essere dimenticate. Questo mi rattrista.

Se si potessero ricamare i corpi dei miliardi di persone vissute e ormai dimenticate, non sarebbe male. Avrebbe più senso aver vissuto. Rimarrebbe qualcosa di quel fluire nelle vene e nel tempo. Penso che quello che ci racconta meglio siano proprio i segni: le ramificazioni dei vasi sanguigni, i solchi delle rughe e delle pieghe sulla pelle, i disegni sui palmi delle mani… Sangue e pelle.

Le foglie forse sono un simbolo. Ma in fondo non siamo così diversi: viviamo e ci spegniamo entrambi.

Sulla nave del vincitore.

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Brutto?

Una domanda mi sorge molto spontanea: ma se i costumi di Achille Lauro li avessero proposti, che so, Dolce&Gabbana o, un altro nome a caso, Rocco Barocco (ne avrei anche altri, sia chiaro) invece che Alessandro Michele di Gucci, il risultato mediatico sarebbe stato lo stesso?

Voi direte, non sarebbero stati quelli. Probabile. Ma mettiamo il caso che tutta quella genialità invece fosse stata il frutto di un estemporaneo stylist sconosciuto (e ce ne sono di sicuro), avreste osannato il gesto allo stesso modo? Siate sinceri.

Io non ho trovato alcun motivo particolare per stupirmi, emozionarmi o disgustarmi, nè per il gesto e tanto meno per il messaggio.  Ho provato un’unica emozione durante l’esibizione della cover di Mia Martini. In quel contesto gli abiti facevano da sfondo adeguato a un testo e musica bellissimi e alla magnifica voce di Annalisa. Ma credo che mi sarei emozionata anche se gli abiti fossero stati altri, forse un poco di meno, chissà.

Uno dei pregiudizi della moda è purtroppo quello di dare un nome e cognome al talento e da qui darlo per scontato, mentre in realtà se di vero talento si tratta, allora non ha bisogno di etichette.

P.s. E comunque il mantello nero ricamato in oro della prima serata era stupendo e vederlo abbandonato e dimenticato per terra come uno straccio anche ben oltre l’esibizione, mi ha dato una stretta al cuore.

La rivoluzione.

 

Bello.

Non mi stupisce il corpo esibito, non mi fanno alcun effetto i tatuaggi, nè le pose androgine o il blu nei capelli. Non trovo nulla di disdicevole nell’imperfezione. Nemmeno le note stonate mi sembrano un difetto imperdonabile, semmai a volte potrebbero essere persino un punto a favore. Una sporcatura necessaria. Ma per favore non chiamatela rivoluzione, non fate finta di non vedere il calcolo, l’aria disfatta ad arte, il moralismo al contrario, buono per i finti rivoluzionari, gli alternativi della domenica. Tutto si può rifare, reinventare, basta non scimmiottare. Basta che il talento cammini al fianco del gesto, che lo contenga e sia il punto esclamativo del contenuto. Un punto esclamativo lasciato lì tutto solo non significa nulla.

N.b. Bowie era la rivoluzione.

Un affare di donne e uomini.

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Bello?

Nei miei corsi di moda per bambini dell’Atelier ArtEnfant di quest’anno ho finalmente di nuovo qualche allievo maschio.  Sembra anacronistico ma ancora vige questo barbaro pregiudizio che la moda sia un affare di donne, cosa ancora più preoccupante se si pensa che ne siano coinvolti bambini, ma evidentemente le nuove generazioni di genitori rimangono ancorate a vecchi schemi (stavo per digitare scemi).

Ricordo un bambino che frequentava un mio corso alcuni anni fa; era pieno di talento e mi meravigliava continuamente con la sua fantasia. Aveva genitori sensibili che lo appoggiavano in tutto e si sobbarcavano un lungo viaggio ogni settimana per portarlo al corso, perchè dalle sue parti non ne esistevano di simili. Un giorno mi raccontò che a scuola veniva preso continuamente in giro per la sua collezione di bambole e ricordo ancora perfettamente la tristezza del suo sguardo mentre lo raccontava.

Gli dissi che non doveva vergognarsi di nulla perchè non faceva nulla di male. Erano gli altri a doversi vergognare. Le stesse parole mi sono trovata a dirle a mio figlio quando ho scoperto che un compagno lo aveva offeso per il colore della sua pelle.

Mi chiedo se sia mai possibile sognare un mondo in cui le diversità siano accolte con entusiasmo e gratitudine perchè rappresentano la vera ricchezza del mondo, ma forse è una speranza che compete ai soli sognatori e non a chi vive nella realtà…

Però mi dico anche che qualcosa si può fare e ritornando alla moda, non perdo occasione di raccontare che è un mondo per tutti. Perchè tutti possediamo potenzialmente fantasia, ingegnosità, spirito di osservazione, gusto personale e infine tutti ci vestiamo.

Posso dire che la presenza di maschi e femmine nei miei corsi rende sempre il lavoro e l’atmosfera più stimolanti proprio perchè si arricchiscono di punti di vista differenti e la moda, che è un mondo che di stimoli ha sempre bisogno, ne trae un grande vantaggio!

Il lusso democratico che svende anche i sogni.

valli e h&m

Brutto.

Nuova collaborazione per H&M, questa volta si tratta di Giambattista Valli, uno stilista che ai suoi esordi mi aveva fatto spendere parole di grande apprezzamento per la sua moda lussuosa ma non opulenta. Poi sembra si sia fatto prendere dalla “sindrome da principessa perenne” e annaspando tra nuvole di tulle, ha preso una direzione che non mi ha convinto.

Riguardo alla collaborazione con il colosso della moda usa e getta, Valli conferma che si tratta di una proposta oltraggiosa*, ma pare che l’oltraggio si sia trasformato in complimento. Potere dei mutamenti della lingua o del vil denaro?

Poi lo stilista si dilunga in un’analisi del mercato e delle tendenze e dice:

“La moda spesso è asfittica, ragiona solo per tendenze e correnti. Non capisce che la gente vuole il sogno, di quello che viene definito trendy non gliene importa più di tanto. Vuole l’abito che Rihanna aveva ai Grammy, vestirsi come Amal Clooney o Charlotte Casiraghi. So bene di cosa parlo, il mio mondo si basa su questo. E con H&M ora è alla portata di tutte”.

Bene (si fa per dire), mi sento di aggiungere solo che se il sogno è un abito di una catena low cost, allora diciamolo che è un sogno da quattro soldi.

 

*Trovo sia un bellissimo complimento il fatto che H&M mi abbia proposto qualcosa di così oltraggioso…(…). G. Valli

Il ruolo della moda.

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Bello.

Da poco mi è tornata in mente un’intervista che feci anni fa a una signora che lavorava nella moda da lungo tempo. Quando le chiesi quale fosse per lei il ruolo della moda, lei mi parlò quasi subito di abiti e poi, ritenendo che moda e abiti fossero un tutt’uno, disse che un abito deve rendere bella una donna, questo è il suo ruolo.

Confesso che al momento non riflettei abbastanza sulla risposta e lasciai correre. Ma questo ricordo mi è tornato in mente proprio ieri, mentre presentavo il nuovo ciclo di laboratori di moda per bambini in una scuola.  E’ davvero solo questo che ci aspettiamo dalla moda?

Quello che mi hanno insegnato i miei giovanissimi allievi è che attraverso gli abiti passa un mondo.  Insieme a loro ci occupiamo di ecologia, facendo nostra costantemente l’abitudine al riciclo. Ci soffermiamo sui segni, le forme e il loro significato; parliamo del tempo, della fatica e dei diversi punti di vista. Da un colore o da un tessuto nascono emozioni e dai disegni traspaiono sogni e speranze.  Tutto questo confluisce nei vestiti che loro pensano e cuciono personalmente.  Direi che l’ultimo dei loro obiettivi è proprio quello di sembrare più belli.

Mi direte che questo succede perchè sono bambini, con gli adulti è un’altra storia.  Allora spostiamo l’attenzione dall’oggetto abito al concetto moda, che era poi la domanda effettiva.  E’ davvero possibile, in una società così variegata e complessa, pensare che la moda abbia esclusivamente o prevalentemente un valore estetico?

Penso agli anni in cui Elsa Schiaparelli disegnava abiti surrealisti, mettendo a nudo pulsioni profonde; penso a tutte le correnti che si sono succedute nella moda: il punk, il grunge, il body conscious degli anni 60′ e poi 80′, il minimalismo (solo per nominarne alcune).  Molte di loro erano attente a qualcosa che era alquanto distante dalla ricerca del bello, eppure quegli abiti li abbiamo indossati tutti.  Penso a tutta la moda brutta prodotta negli ultimi anni, che ha fatto del brutto il proprio campo di ricerca e sperimentazione, analizzando il concetto di cattivo gusto o kitsch e rendendolo persino desiderabile.

La domanda rimane aperta ed è un bene: molte sono le risposte possibili e questo rende tutto interessante.  Quella parte di società che compra gli abiti solo per sentirsi più attraente esiste, lo so.  Però ho come la sensazione che si sia persa una fetta cospicua della storia, del cambiamento.  Naif, questa la parola che mi viene in mente.

Io però sono ottimista.  Mi basta guardare i lavori dei miei piccoli allievi.

 

Una piccola rivoluzione.

bellanova

Bello.

Teresa Bellanova, nuovo ministro dell’agricoltura, è stata aspramente criticata e offesa da più parti. Non è piaciuto il suo fisico, i suoi titoli di studio, ma più di tutto non sono piaciuti i suoi abiti.

Cosa c’è che non va in quegli abiti, giudicati persino indecenti?* Sul termine un ripasso è necessario.

A sentire i detrattori non va il colore, la foggia e neppure gli accessori abbinati (vedi le scarpe giudicate troppo a punta). Insomma tutti elementi opinabili poichè dipendenti dal gusto personale.  Esistono per caso disciplinari inoppugnabili di ciò che è opportuno o non opportuno indossare in base alla taglia e alla tipologia di fisico?

E’ evidente che i motivi di tanto astio sono altrove, ma io qui vorrei analizzare i fatti in modo scientifico. Partiamo dal colore: un bluette carico che mi sembra leghi bene con la sua carnagione e con il colore dei capelli. Un colore acceso, ma non sfacciato, della famiglia dei blu e quindi di fascia classica.

Poi c’è la foggia dell’abito: un trapezio con l’unica decorazione di una fila di pieghe libere orizzontali su tutta la lunghezza dell’abito. Fin qui forse l’appunto che si potrebbe fare è che le righe o gli elementi orizzontali rischiano di allargare la figura. Le maniche sono a campana con un taglio centrale che lascia scoperta una piccola porzione di pelle (sarà questo l’elemento indecente?).

Passiamo al fisico del ministro. E’ chiaro che la signora rientra nel gruppo di quelle che oggi vengono chiamate curvy. Una tipologia di fisico femminile per cui da ormai molto tempo si è smesso di consigliare abiti punitivi tendenti a nascondere piuttosto che a valorizzare. Sono state promosse iniziative, dibattiti, campagne perchè si cominciasse finalmente a considerare le caratteristiche fisiche tutte egualmente apprezzabili. Se n’è accorta persino la pubblicità e non da ultimo le riviste (ricordo un numero di quel regno della magrezza che è Vogue, tutto dedicato alle curvy). Se ne è accorto il mercato, che ha astutamente annusato l’affare, producendo (evviva!) linee che non si fermano più alla sola taglia 46.

Invece, a quanto pare, i social no, non se ne sono ancora accorti.  Per questo motivo una signora di 61 anni con un fisico morbido dovrebbe meritare giudizi feroci o addirittura la pubblica gogna.

Ma la circostanza che più di tutte mi fa andare oltre a tutte queste considerazioni, che sono comunque dati di fatto, è un’altra.  Sto parlando del sorriso.

Una donna con un sorriso simile, per me può indossare davvero qualsiasi abito. Nulla le può star male, nulla può scalfire quel modo di guardare al mondo e quindi a se stessa, che è poi il rimando che il mondo le restituisce. Solo gli invidiosi o i poveri di spirito non vedono. Solo chi non ha altro che un confine troppo vicino non è toccato da quel sorriso che è una piccola rivoluzione.

 

* Dal vocabolario Treccani: indecènte agg. [dal lat. indĕcensentis, comp. di in2 e decens «decente»]. – 1. Che offende la decenza e il pudore: contegno, atteggiamento i.; discorsi, parole, espressioni i.; un abbigliamento, una scollatura i.; anche riferito alla persona: sei davvero i. vestita così. 2. Che offende il decoro, la dignità, la convenienza perché sudicio, disordinato, trasandato, o perché d’infima qualità e sim.: